Space economy e ambiente: un’opportunità purché lo spazio non si trasformi in un nuovo Far West
Oggi, sugli schermi di Teletruria (dove sono ospite come direttore responsabile di BuoneNotizie.it e come docente dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo) ho parlato di space economy. O meglio: di new space economy.
La corsa allo spazio è iniziata molto tempo fa e già allora, dall’era del lancio dello Sputnik, lo sviluppo delle operazioni spaziali implicava anche la nascita di una nuova economia. Solo oggi però, sulla scia dello sviluppo delle nuove tecnologie e dell’ingresso dei privati, l’economia dello spazio acquisisce un peso che, in prospettiva, potrebbe diventare trainante. Con aspetti potenzialmente positivi per quanto riguarda il cosiddetto segmento downstream della space economy. I dati che ci arrivano dallo spazio vanno infatti a nutrire molti rami: dal monitoraggio dei problemi ambientali (deforestazione, desertificazione) alla prevenzione e alla gestione delle emergenze per non parlare delle implicazioni sul piano dell’agricoltura di precisione, dei trasporti ecc.
C’è però anche un rovescio della medaglia. Per quanto – sul piano quantitativo – i rifiuti umani nello spazio rappresentino un nonnulla, in termini umani la presenza di un problema rifiuti spaziali (moltissimi intorno alla Luna e alla Terra) porta alla luce qualcosa di cui dobbiamo prendere atto. Se lo spazio si tarsformerà nell’ennesimo Far West in cui trasferiremo le logiche coloniali che hanno generato mostri qui sulla Terra, se lo trasformeremo in una falsa pagina bianca in cui copincollare tutto ciò che non ha funzionato quaggiù, non sarà “un grande passo per l’umanità”: sarà solo l’ennesima débacle.
Tra realtà e percezione: quali sono le migliori pratiche per ridurre le emissioni di CO2
Le comunità energetiche sono una risposta alla crisi?
Le comunità energetiche non sono nate ieri: a ben vedere, esistono da un bel po’ma – e l’aspetto interessante è proprio questo – negli ultimi mesi hanno cambiato valenza. Abbiamo iniziato, cioè, a percepirle in modo diverso. Non più come un fenomeno di nicchia, non più come la virtuosa (ma circoscritta) iniziativa di isolati gruppuscoli di cittadini, ma che come una potenziale risposta alla crisi energetica e al caro bollette.
Le conseguenze della pandemia e l’impatto della guerra in Ucraina sul prezzo dell’energia hanno creato un’esigenza diffusa. Di “povertà energetica” si parlava di già ma oggi l’aspetto più preoccupante è l’allargamento a macchia d’olio dell’incidenza di situazioni di “vulnerabilità energetica”. E’all’interno di questo quadro che le comunità energetiche possono rappresentare una risposta efficace.
Ne parlo qui, durante la trasmissione di Gloria Peruzzi sugli schermi di Teletruria dove Silvio Malvolti ed io siamo ospiti per BuoneNotizie.it e per l’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.
Aree protette e riforestazione: parlarne con gli strumenti del giornalismo costruttivo
Quest’anno due grandi parchi nazionali italiani compiono nientemeno che cent’anni. Quante sono le aree protette in Italia? Come si sono strutturate negli anni e qual è il loro trend di crescita? Fare il punto della situazione è importante: soprattutto oggi, nell’ambito della crisi climatica.
In quanto polmoni verdi, le aree protette rappresentano importanti risorse che è fondamentale saper gestire. Non basta incrementare la loro superficie: più alberi non significa automaticamente meno anidride carbonica se i piani di riforestazione non sono seguiti da piani di gestione.
Ecco allora che parlare di riforestazione e aree protette significa prendere atto anche di quelle che sono le strategie necessarie per gestire il nostro patrimonio forestale. Ne parlo insieme a Gloria Peruzzi durante la Rassegna Stampa di Teletruria, di cui sono ospite come direttore responsabile di BuoneNotizie.it e come docente dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.