La scorsa settimana la notizia è passata un po’in sordina ma secondo me merita di essere portata alla ribalta: in un momento in cui Svezia e Finlandia stanno prospettando una possibile adesione alla NATO (con conseguenze potenzialmente catastrofiche per tutti) il primo ministro svedese, Magdalena Andersson ha dichiarato che per il momento la Svezia non chiederà di diventare membro dell’Alleanza Atlantica “per non rischiare di destabilizzare la sicurezza europea“. Un gesto di grandissima responsabilità politica a cui credo che dovremmo dire tutti grazie.
Il secondo grazie (con la dovuta ironia, viste le pesanti responsabilità sulla situazione attuale) lo darei alla NATO per aver rifiutato, almeno fino ad oggi, la folle e irresponsabile richiesta di Zelensky di creare una “no fly zone” sull’Ucraina che ci catapulterebbe tutti sullo scenario di una probabile terza guerra mondiale. Ai media e ai tanti lettori che si stanno facendo trascinare da questa spaventosa ondata emotiva, come giornalista vorrei far notare che in meno di tre settimane, in Europa diverse cose sono cambiate in modo preoccupante.
Ne cito solo tre:
– da fine febbraio, per la prima volta nella sua storia, l’UE ha iniziato a esportare apertamente armi. Una cosa che prima non era mai successa perché i trattati vigenti impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget comunitario per motivi bellici. Il divieto, non a caso, è stato bypassato attivando uno strumento esterno al budget, la European Peace Facility, che può mobilitare fino a 5 miliardi di euro per aiuti militari. Di questi 5 miliardi, 500 milioni sono stati immediatamente utilizzati per inviare armi sul fronte ucraino.
– un esempio per tutti, sempre nell’ambito del primo punto: a partire dal 26 febbraio la Germania ha dato una brusca sterzata alla propria storia. Il governo tedesco, che per 70 anni non ha mai apertamente esportato armi verso nazioni in stato di guerra, ha ora esplicitamente offerto sostegno militare al governo ucraino. Annunciando, peraltro, un incremento della spesa miliare dall’1,5% al 2% del Pil. A questo, come se non bastasse, si aggiunge lo stanziamento di 100 miliardi di euro per spese militari. Cito la Germania come esempio storicamente “clamoroso”, che lo è ancora di più in un contesto come quello attuale che è (lo ricordo nel caso qualcuno se lo fosse dimenticato) uno scenario post-pandemico. Con tutte le urgenze economiche del caso, che richiedono spesa pubblica in investimenti molto diversi da quelli militari.
– in meno di un mese, l’emergenza climatica è passata clamorosamente dietro le quinte e fra le proposte “extrema ratio” si ipotizza anche la riapertura (fino a un mese fa impensabile) di centrali a carbone, per arginare l’impennata del costo del gas e ridurre la dipendenza dalla Russia. E questo non solo nel Vecchio Continente: anche la Cina ha annunciato la riapertura di centrali e miniere di carbone con tutte le conseguenze del caso.
Cito questi aspetti ben sapendo che, volendo, la lista sarebbe molto più lunga. E’solo tenendo d’occhio come stiamo cambiando (e a che ritmo) che possiamo mettere a fuoco dove rischiamo di finire e chiederci: lo vogliamo davvero? Se proprio vogliamo fare questo salto nel buio, facciamolo a occhi aperti. E con la coscienza che certi cambiamenti non saranno reversibili. Per nessuno.