Del fatto che l’acqua sia una risorsa preziosa ce ne stiamo rendendo conto tutti a suon di episodi siccitosi. Sappiamo anche che la nostra rete idrica è un colabrodo e che in certe province (Frosinone) le perdite raggiungono l’80%. Detto ciò, siamo ancora – almeno per ora – all’interno di una bolla fortunata in cui il “grosso” dei conflitti legati all’acqua si sente relativamente poco.
Parlo volutamente di conflitti perché le “guerre dell’acqua” a volte sono guerre vere e proprie e a volte, come nel caso del water grabbing, sono conflitti. Molte le cause, tra cui gioca senz’altro un ruolo di primo piano lo ha il combo tra:
– l’aumento della domanda (incremento della popolazione mondiale, democratizzazione del consumo nelle aree più ricche, con conseguente aumento degli utenti effettivi e nuove abitudini igieniche. Risultato: +1% della domanda di acqua ogni anno, da quarant’anni a questa parte, ma da qui al 2030 l’incremento potrebbe essere anche superiore)
– la riduzione dell’offerta (ovvero incremento delle temperature, degli episodi siccitosi e incapacità, almeno per il momento, di contenere e riutilizzare su grande scala, le risorse generate dalle cosiddette bombe d’acqua).
Questa è la situazione. Le guerre dell’acqua sono sempre di più (202 negli ultimi due anni) e gli episodi di water grabbing (che spesso vanno a braccetto con clamorosi esempi di greenwashing) pullulano. Detto ciò: what now? Quali sono le soluzioni? Come si risolvono i conflitti? In buona parte giocando d’anticipo senza aspettare che la frittata sia fatta.
Ne ho parlato oggi sugli schermi di Teletruria.