Ed eccoci arrivati alla nota dolente. Quando dico che di lavoro faccio (anche) la ghostwriter, cala di norma un silenzio luttuoso e anche un po’ imbarazzato. Dopodiché, in certi casi scattano le condoglianze, a volte – invece – si fanno strada le domande più imbarazzanti. Che vanno da “Cos’è un ghostwriter? Uno scrittore di racconti horror?” a “Ma fare il ghostwriter non è un po’ come dare l’utero in affitto?” (giuro: mi è stato chiesto).
Cosa fa il ghostwriter
Credo quindi che sia il caso di fare un po’ di chiarezza. Il ghostwriter non scrive (di solito) racconti di fantasmi e non lavora nemmeno travestito da spettro: è semplicemente uno scrittore-fantasma che mette la propria professionalità al servizio di un altro professionista.
Il professionista in questione può essere uno scrittore famoso come Stephen King (no, non è il mio caso), un comico di successo o anche semplicemente un imprenditore che ha bisogno di pubblicare un libro su se stesso e sulla propria attività. Chiamasi, banalmente, personal branding. Ecco: io – come ghost – mi occupo molto di questo e cerco di farlo nel modo più creativo possibile. Uscendo dal recinto obbligato del saggio per passare a un ritmo narrativo più accattivante: quello dello storytelling e in certi casi addirittura del romanzo o del racconto.
Chi è il ghostwriter? Le caratteristiche che deve avere un ghostwriter
Chi è il ghostwriter? Un terzista della scrittura. Una figura professionale che sarebbe utile ridefinire e liberare da parecchi luoghi comuni.
Scrivere un libro per conto di altri rinunciando tanto ai diritti d’autore quanto alla paternità d’autore fa parte del ghostwriting a tutti gli effetti e il secondo aspetto – cioè la rinuncia alla paternità d’autore – al netto della mia esperienza personale è il principale motivo per cui sono relativamente pochi gli scrittori che accettano di fare i ghostwriter.
Gli scrittori, si sa, hanno un senso dell’Ego piuttosto sviluppato e la rinuncia alla paternità d’autore, in questo senso, va proprio a puntare il coltello nella piaga. Eppure, personalmente, sono convinta che proprio questo aspetto (la “rinuncia”) sia una grandissima opportunità creativa, a saperla cogliere. Qualcosa che, alla lunga, finisce anche per giocare a favore dello sviluppo delle proprie capacità autoriali: non come ghost ma come scrittori “alla luce del sole”.
Di tutto questo, ho parlato ultimamente in una bella intervista che mi è stata fatta su Teletruria.